Di Dalia Trisuilla
Se
Cristo rinascesse sarebbe un immigrato su di un grande barcone in mezzo al
mare, figlio di una madre violentata dai trafficanti di uomini senza
l’intercessione dello Spirito Santo. Sarebbe un profugo appena nato, molto più
probabilmente sarebbe una neonata strappata al freddo del mare che
l’accoglierebbe rendendo dura e salata la sua pelle inerme. Perché la sua pelle scura si strierebbe di
bianco. Cristo si chiamerebbe Azzurra perché lì davanti agli occhi avrebbe
cielo e il mare sotto le braccia di
culla per inculcargli l’eterna determinatezza nella precarietà. E so che
avrebbe scelto di nascere apolide, in acque internazionali, senza nazione, libera dal senso di appartenenza che ti
spinge ad uccidere per paura di uno sconosciuto allo specchio.
Passata
per i centri di identificazione, ecco,approderebbe nel paradosso di essere
ingabbiata nella disperazione di non avere un’identità. Solo le impronte
digitali definirebbe il limite e l’identità del suo corpicino. Le darebbero il
luogo di nascita attraverso dei numeri, le coordinate del mare, per poi lasciarla
al flusso del tempo che mai conviene. Lei sarebbe il mondo. Se poi nell’innata
lotta della sopravvivenza riuscisse a crescere per trovare un postosu questa
terra,un’opportunità si presenterebbe:magari proprio la strada le proporrebbe
di diventare una puttana. Ed allora diverrebbe una creatura capace di fare
miracoli perché appartenete all’umanità, perché dai suoi sorrisi spezzati
sarebbe capaci di fare miracoli oltre i traumi della violenza, e della restrizione,
per donarle la consapevolezza di dare, senza pretendere
di ricevere. Perché il mare è lontano, ma il male e la paura sono vicino, dentro
di noi, bisognosi di colpe da scaricare
e di dita da puntare.
Solo che
se dovessero morire il terzo giorno non resusciterebbero.